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MOSTRA

1-18 Novembre 2018

 

Sala "Scarpa" del Museo Revoltella, Trieste

 

L’idea di fondo è quella di offrire al pubblico un percorso attraverso ciò che l’arte contemporanea ha saputo dire nel corso dell’ultimo trentennio sulle questioni della migrazione, dell’esilio, del distacco e dello straniamento. Ma soprattutto la mostra vuole far vedere quale diversità e quale complessità l’arte sia stata capace di mettere in campo nel raccontare questi nodi cruciali del presente. E nel raccontarli non semplicemente come contrapposizione tra un “noi” e un “loro”, tra un’identità e un’alterità, tra l’origine e il distacco.

 

Ciò che gli artisti e le artiste presenti nella mostra ci hanno detto e continuano a dirci è che è possibile (e necessario) immaginare “altre storie”, altre forme di narrazione, altre modalità di lettura delle dinamiche del presente. Sempre più complicate, singolari e creative di quanto il bisogno di ridurre il mondo a dicotomie fisse possa farci immaginare.

Visite guidate alla mostra:

1 novembre ore 17.00 (vernissage)

4 novembre ore 11.00

10 novembre ore 17.00

11 novembre ore 11.00

Measures of Distance

MONA HATOUM

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Mona Hatoum, artista anglo-palestinese nata a Beirut, una delle voci più brucianti del panorama contemporaneo sui temi dell’esilio, dello spaesamento e delle posizioni al femminile in una ricerca estetica e teorica della complessità e delle modalità di narrazione. I suoi lavori degli anni Ottanta hanno fatto ruotare questi temi attorno alla presenza del corpo, alle sue posizioni, alle sue risorse.

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A questa fase appartiene il video presente nella mostra Measures of Distance del 1988, una fondamentale riflessione estetica sul distacco, la possibilità e l'impossibilità di comunicare anche attraverso gli spazi e le distanze culturali. Nel video, alle immagini del corpo della madre dell’artista impegnata nell'atto di farsi la doccia - un momento privato - si sovrappongono, parole, suoni e segni grafici che vengono dalle lettere scritte dalla madre all’artista stessa, offrendoci in questo modo la percezione estetica, appunto, della distanza e del distacco. Proprio da questo bisogno di prendere le misure della distanza parte il percorso proposto dalla mostra.

Mona Hatoum

May You Live in Interesting Times

FIONA TAN

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Fiona Tan nei suoi lavori di videoarte esplora le questioni della memoria, del passare del tempo, della costruzione della storia e, soprattutto, del ruolo delle immagini in tutto questo. La sua arte persegue una ricerca estetica estremamente raffinata che raccoglie suggestioni provenienti da diverse tradizioni culturali, mettendo in questo modo in crisi la nozione stessa di origine e quella di un’identità monolitica e semplicistica.

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La mostra dà la possibilità di apprezzare uno dei suoi primi lavori, del 1997, intitolato May You Live in Interesting Times. Si tratta forse dell’opera più spiccatamente autobiografica dell’artista, in cui la provenienza multipla dei membri della famiglia Tan (Cina, Indonesia, Australia, Europa, ..) diventa il punto di partenza per una ricerca estetica che ne indaga le multiformi possibilità di narrazione.

Fiona Tan

Encore

ISAAC JULIEN

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Isaac Julien, artista inglese, la cui famiglia è originaria di Saint Lucia, ha realizzato film che parlano della cultura contemporanea, lavorando su figure come quelle di Langston Hughes o di Stuart Hall, tra le altre.  Le sue installazioni artistiche intrecciano varie forme estetiche in opere coinvolgenti e innovative, che cercano sistematicamente di dare dignità etica ed estetica a esperienze di vite migranti lasciare ai margini.  Si situano su questa linea i suoi capolavori, come Western Union, Small Boats del 2007 o Ten Thousand Waves del 2010.

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L’opera presente in mostra, Encore (Paradise Omeros, Redux), del 2003, ragiona sulla mescolanza, sugli intrecci, sulle mentalità ibride e il continuo bisogno di dislocazioni territoriali che segnano le esperienze di coloro che vivono in una molteplicità di culture.  L’immagine chiave che ricorre nell’opera è quella del mare (sempre molto presente nel lavoro di Julien). Un mare che fa scivolare chi guarda in un flusso di sensazioni, ibride a loro volta, e capaci di mettere in questione ogni dicotomia.

Isaac Julien

Old Land New Waters

TRINH T. MINH-HA

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Trinh T. Minh-ha, teorica e artista visiva, di origini vietnamite, trasferitasi negli Stati Uniti, dove insegna all’Università di Berkeley. Il lavoro di Trinh, sebbene tuttora poco noto in Italia, è stato fondamentale nel delineare il campo degli studi postcoloniali, e resta uno dei contributi centrali in questo ambito. Il suo Woman Native Other ha aperto la strada a questo campo di esplorazione teorica, unendo al tema del postcoloniale le questioni di genere. Oltre che una teorica, Trinh è anche un’artista. Ha sempre percepito la necessità di esprimere le proprie posizioni non solo attraverso i canali tradizionali della comunicazione accademica e intellettuale.

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Tra le sue tante opere, a partire dal fondamentale Reassemblage del 1982 o da Surname Viet, Given Name Nam del 1989, la mostra sceglie di presentare un’installazione più recente, Old Land New Waters, creata nel 2007, in cui gli elementi della “terra” e dell’ “acqua” (che nella lingua vietnamita si uniscono per indicare il territorio, il paese) evocano la dimensione dell’appartenenza, sullo sfondo della globalizzazione contemporanea.

Infini#1

ARKADI ZAIDES

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Arkadi Zaides, artista e coreografo israeliano, di origine bielorussa, attualmente attivo in Francia. La sua riflessione artistica si concentra sulle modalità in cui i contesti politici e sociali producono i loro effetti sui movimenti e la gestualità dei corpi. Questa riflessione dà origine a un lavoro coreografico che interroga e provoca chi guarda la performance, costringendo a una problematizzazione delle proprie posizioni.

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Fondamentale nella sua riflessione estetica è l’uso della tecnologia, come si potrà vedere nell’installazione presente nella mostra, frutto del suo lavoro più recente (2016). INFINI#1 fa infatti parte di un progetto di ricerca complessivo, intitolato Violence of Inscriptions, che ragiona sulle forme di esclusione implicite o esplicite che nascono negli spazi di confine in relazione a esperienze di dislocazione. In particolare l’installazione vuole documentare  il controllo tecnologico delle frontiere in una zona precisa, la costa della regione di Mantamados, sull’isola di Lesbo, uno dei confini estremi dell’Europa.

 

 

 

L’installazione è realizzata in collaborazione con CSS Teatro stabile di innovazione del FVG - Dialoghi Residenze per le arti performative a Villa Manin

Kater i Rades

ADMIR SHKURTAJ

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Admir Shkurtaj è un musicista contemporaneo, nato in Albania e attivo in Italia. Il suo lavoro combina  suoni della tradizione albanese con la ricerca nell’ambito della musica elettronica  e con le suggestioni che gli vengono dal patrimonio musicale della sua terra d’adozione, la Puglia.

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La sua musica scritta per Kater i Rades. Il naufragio, opera multimediale del 2014 su libretto di Alessandro Leogrande, costituisce la traccia acustica che guida verso la mostra, in un’installazione sonora che introduce alle immagini in movimento attraverso lo spazio definito dai suoni. Questo paesaggio sonoro racchiude la memoria del primo tragico naufragio nel Mediterraneo, in cui, nel 1997 morirono quasi cento persone nel tentativo di raggiungere le coste italiane. Una memoria con cui non ci si può esimere dal continuare a fare i conti. 

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